domenica 15 ottobre 2023

Gomòria. Commento


Editore: Cliquot
Autore: Carlo H. De’ Medici
Genere: weird
Pagine: 240
Voto: ★★★★☆

Terminato di leggere qualche mese addietro, Gomòria è un oscuro romanzo gotico italiano del 1921 - a firma dell’altrettanto oscuro autore Carlo H. De’ Medici - riscoperto e ristampato da Cliquot grazie ad una campagna di crowdfunding nel 2018.
Di Carlo Hakim De’ Medici (1877-19??) si hanno scarne notizie, tanto da non conoscere nemmeno la data di morte precisa né tantomeno il luogo della sua sepoltura. Italiano da parte di padre, austriaco da parte di madre, crebbe all’interno di una comunità ebraica a Gradisca d’Isonzo, in Friuli. Fu giornalista, scrittore gotico, illustratore e occultista. I suoi testi sono di difficilissima reperibilità, sovente pubblicati una sola volta e mai più ristampati.
Gomòria è un racconto che oscilla tra la tradizione decadente del Dorian Gray di Oscar Wilde e quella del Piacere di Gabriele D’Annunzio. Racconta della decadenza di Gaetano Trevi di Montegufo, un dandy amato dalle donne più per la munificenza con cui dona i suoi ori che per la prestanza del suo fisico guasto, e del suo scivolamento nell’insoddisfazione. Un inetto, vizioso, vacuo e velleitario erede di un’avvizzita nobile famiglia caduto in disgrazia dopo una vita di scialo ed eccessi nella Napoli fin de siècle. Perennemente annoiato e sempre in cerca di nuovi stimoli e piaceri, la sua noia lo spinge alla continua ricerca di stravaganze che gli facciano ribollire il sangue, come i voluttuosi siparietti, con tanto di travestimenti e scenografia a tema, durante i quali la domestica Simona e la prostituta Matelda esaudiscono le sue deviate perversioni. Così quando Zimzerla, zingarella di quindici anni, si presenta alla sua porta, lui la accoglie, la accudisce, trasforma la stracciona in una bambola raffinata. E mentre il fiore sboccia, lui si prefigura il gusto che proverà nel carpirlo, deturparlo e infine riabbandonarlo all’angolo della strada. Ma Zimzerla forse non è chi dice di essere: serva e al contempo tiranna di Gaetano, condurrà l’uomo nella sua caduta verso l’inferno!
Gomòria riprende le atmosfere cupe e diaboliche di classici quali Frankenstein e Dracula: gran parte della storia si svolge infatti in un vecchio podere dal nome più bello di sempre: la Malanotte, nei pressi di Grosseto, in una lugubre Maremma non ancora bonificata. Ed è anche un’interessante raccolta di testi occulti: nel castello infatti è presente una biblioteca piena di antichi libri di magia, esoterismo e alchimia, quasi tutti realmente esistenti, che vengono ivi presentati. De’ Medici presenta ritualità e descrizioni di evocazioni e formule magiche. Nell’introduzione, addirittura, Gomòria viene presentato quale “romanzo esoterico iniziatico” ma si tratta di una definizione a mio avviso fin troppo entusiastica: alla fine dei conti resta solo un ottimo romanzo nero!
Arricchito dalle tavole originali di De’ Medici e da un’accurata scelta dei materiali di stampa (rilegatura filo refe su carta fedrigoni), Gomòria rappresenta una perla rara nel panorama editoriale weird italiano attuale, reliquia di una stagione dimenticata del fantastico italiano assieme ad altri meritevoli recuperi quali Il vampiro di Franco Mistrali (Edizioni Arcoiris) e l’antologia Racconti neri e fantastici dell’Ottocento italiano a cura di Riccardo Reim (Newton & Compton).
Sfarzoso e barocco nello stile eppure di facile lettura, compiaciuto nell’incedere sulle efferatezze messe in atto dal protagonista e anticipatore di futuri classici come Il Club Dumas (1993) di Arturo Pérez-Reverte, Gomòria assomma ogni tòpos della letteratura gotica: dal patto col diavolo di faustiana memoria alla femme fatale, dal castello maledetto allo pseudobiblia. E parla chiaro sin dalla copertina [che riproduce quella originale illustrata direttamente da De’ Medici]: un affascinante demone nudo con tanto di corna, come a dire “lasciate ogne speranza o voi ch’intrate”!
EDIT: In conclusione è interessante far notare come i personaggi di Zimzerla e di De’ Medici siano stati ripresi nel fumetto bonelliano Dampyr di agosto 2023, dove l'affascinante Gomòria veste i panni del "demone della lussuria capace di assumere le sembianze di qualunque donna"... praticamente il sogno di ogni uomo, ahahahah!!!

mercoledì 13 settembre 2023

Brevissima storia della narrativa popolare

Per “narrativa popolare” s’intende il patrimonio narrativo in uso presso le classi popolari. Storicamente il “popolino” è lo strato più vasto ma meno abbiente e culturalmente meno evoluto di una popolazione, come il proletariato e la borghesia impiegatizia. Il suo bisogno però di alfabetizzarsi e distrarsi ha portato nel tempo al nascere e al diffondersi di vari tipi di media, dai teatrini itineranti al radio drama, dal cinema alla televisione, ma prima di tutti, a vari tipi di pubblicazione periodica tutti caratterizzati da narrazione a puntate, basso costo, e lettura veloce usa-e-getta, poiché destinati ad essere consumati nel non molto tempo libero dei lavoratori. Il termine “narrativa” poi, serve volgarmente ad individuare un genere scritto in prosa poco impegnato, differenziandolo dalla “letteratura” che invece individua qualsiasi creazione scritta (anche in versi o in forma di saggio) di valore artistico superiore o duraturo. Nondimeno, non può tacersi che anche la narrativa è “una forma letteraria”.

I «penny dreadful» (traducibile come «spaventi da un penny») furono tra i primissimi esempi di questo tipo di pubblicazione, essendosi diffusi nel Regno Unito in epoca vittoriana, a cavallo della Rivoluzione industriale. Chiamati così perché caratterizzate dal basso costo, un penny perlappunto, proponevano narrazioni a puntate di tipo gotico e horror. Il costo però rifletteva anche la scarsa qualità: erano infatti contraddistinte da toni sensazionalistici e scrittura sgrammaticata. Tra i penny dreadful più celebri ricordiamo l’anonimo Sweeney Todd che ha per protagonista uno dei primi serial killer della letteratura, Wagner, the wehr-wolf di George W.M. Reynolds, e Varney il vampiro, o il banchetto di sangue di James Malcolm Rymer e Thomas Preskett Prest, lavoro piuttosto disomogeneo e storicamente confuso di smisurata lunghezza [ben 220 capitoli! di recente pubblicata anche in italico idioma dalla defunta Gargoyle Books in 3 voll.] a cui si devono molti dei luoghi comuni e stereotipi oggi diremmo tipici nella letteratura vampririca. Varney eserciterà infatti una grande influenza sulla successiva letteratura sui vampiri, in particolare sul Dracula di Bram Stoker: differenziandosi dalla figura folkloristica del nosferatu, Varney ha zanne e lascia due segni distintivi sul collo delle vittime, ha il potere di ipnotizzare ed ha una forza sovrumana, è in grado di spostarsi anche alla luce del giorno e non è terrorizzato dalla croce o dall’aglio, detesta la propria condizione e può essere ucciso con un paletto di frassino (sebbene “morirà” gettandosi nel Vesuvio).
Piccola parentesi:
le pubblicazioni popolari come i penny dreadful e le successive pulp magazine, molto devono al «pamphlet». Il pamphlet (termine francese traducibile con “libello” per le sue agili dimensioni), era una breve pubblicazione - chiaramente indirizzata ad un ceto colto e alfabetizzato - che ebbe larga diffusione un po’ ovunque sin dall’antichità, nella Roma imperiale o anche nel Medioevo, dall’intento polemico, satirico o scabroso, ovvero utilizzati per diffondere idee personali in materie politiche o religiose.


Oltreoceano, corrispondenti ai penny dreadful, furono le «dime novel». Il nome fa riferimento al basso costo, oltre che alla scadente qualità che li caratterizzava; dime novel è infatti traducibile con «Romanzetto da quattro soldi», corrispondendo un dime a 10 cents. Le dime novel traevano ispirazione direttamente dal mito del vecchio & selvaggio west, per cui erano ambientate nell’era dei pionieri, della Rivoluzione americana o della Guerra civile, e vedevano protagonisti personaggi come Kit Carson e Buffalo Bill. Verso la fine del XIX sec. i cowboy solitari lasciarono il posto a spie e poliziotti impegnati a combattere il crimine nelle città; tra questi popolare fu il personaggio di Nick Carter: l’eredità delle dime novel si stava pian piano spostando verso quelle altre ambientazioni che avrebbero debuttato sulle riviste.

Nello stesso periodo in Francia si diffusero i «feuilleton» (letteralmente diminutivo di feuillet, foglio): accadde che nel 1831 Honoré de Balzac decise di anticipare sui giornali - nello spazio dedicato alla critica letteraria - alcuni capitoli del romanzo che stava scrivendo, ritenendolo un buon mezzo per creare l’attesa nel pubblico prima dell’uscita dell’opera completa in formato libro. L’iniziativa fu un successone e in brevissimo tempo, a puntate su quotidiani e riviste, apparvero alcuni dei più grandi classici francesi, da I tre moschettieri e Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas a Madame Bovary di Gustave Flaubert, da Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne a Il fantasma dell’opera di Gaston Leroux, da I misteri di Parigi di Eugène Sue a Il Capitan Fracassa di Théophile Gautier, a I miserabili di Victor Hugo. Un romanzo pubblicato secondo queste modalità, dilatando la sua storia nel tempo, aveva la necessità di creare suspense nei lettori e fidelizzarli, per questi motivi i feuilleton, dal punto di vista strutturale e contenutistico, condividevano alcune caratteristiche tipiche: narrazione ricca di vicende intricate, di personaggi (sovente contrapposti nettamente in buoni e cattivi) e di colpi di scena improvvisi. La formula ben presto prese piede anche all’estero, basti pensare agli inglesi R.L. Stevenson, che pubblicò a puntate La freccia nera, James Joyce, che pubblicò Ulisse, Charles Dickens, che pubblicò Oliver Twist e David Copperfield, Joseph Conrad, che pubblicò Cuore di tenebra, H.G. Wells, che pubblicò La macchina del tempo e La guerra dei mondi, e Arthur Conan Doyle, che pubblicò Il mastino dei Baskerville. O ai russi Tolstoj (Guerra e pace e Anna Karenina) e Dostoevskij (Delitto e castigo).

Anche nel Bel Paese «il romanzo d’appendice» (com’era chiamato nello Stivale) ebbe ampia diffusione: nacquero riviste contenitore apposite, come La Domenica del Corriere, La Tribuna illustrata e Il Giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare, che, fino al Secondo conflitto mondiale e all’avvento della televisione, allietarono le domeniche degli italiani alternando avventure e resoconti di viaggi e avvenimenti dell’esplorazione geografica con racconti d’avventura e fantastici, padrone indiscusso dei quali fu senz’altro Emilio Salgàri.

A partire dagli inizi del Novecento, queste formule d’intrattenimento letterario da un lato furono pian piano sostituite da media più immediati, quali il fotoromanzo e i fumetti, dall’altro lato, la crisi economia che seguì la Grande depressione, spinse alla nascita delle «pulp magazine».

Le pulp magazine erano (ancora una volta, tornando alle origini) riviste di prezzo economico, ossia dai dieci cents al quarto di dollaro. Il nome “pulp” derivava dalla carta con cui venivano stampate, ottenuta dalla polpa dell’albero e quindi di qualità piuttosto scadente. Oltre ad essere più ruvida e spessa, aveva anche il difetto di ingiallire in breve tempo. Le copertine, poi, erano famose per i disegni di ragazze seminude, in genere in attesa di essere salvate dall’eroe di turno. Le pulp magazine infatti contenevano racconti fantastici o romanzi a puntate, gangster-story o avventure di personaggi eroici come Doc Savage, Conan il barbaro, Tarzan, John Carter di Marte e Zorro. Buona parte della prima metà del Novecento fu tutto un fiorire di pulp magazine, da Argosy ad Astounding, da Galaxy ad Amazing Stories, da Weird Tales a Wonder Stories... praticamente tutta la narrativa popolare passava dalle riviste: il poliziesco, il romance, l’horror, il fantasy, la fantascienza, l’avventura e il racconto esotico, e molti famosi autori oggi di culto hanno debuttato sulle riviste pulp (Poul Anderson, Isaac Asimov, Ray Bradbury, H.P. Lovecraft, Robert E. Howard, Jack Vance, Jack Williamson, C.A. Smith, Henry Kuttner, Arthur C. Clarke, Philip K. Dick, Frank Herbert, L. Ron Hubbard, Seabury Quinn, Talbot Mundy, Edgar Rice Burroughs, Leigh Brackett, Raymond Chandler, Robert Heinlein, Fritz Leiber, Robert Bloch, Theodore Sturgeon, Manly Wade Wellman, etcetera etcetera etcetera) tantoché oggi, col termine “pulp” tende ad intendersi quel genere letterario avventuroso, ricco di suspense, colpi di scena e crimini, spesso con protagonisti mascherati e donne sensuali che caratterizzò il periodo 1938-1955.
Laddove le pulp magazine erano destinate ad un pubblico adulto, i fumetti (o meglio, i «comics») erano tradizionalmente destinati a bambini e adolescenti. Fumetti che avevano per protagonisti personaggi come Topolino, Popeye, Felix il Gatto, Dick Tracy, Buck Rogers e Flash Gordon invero esistevano già.

Ma la crisi del ’29 che seguì dal crollo della Borsa di Wall Street, causando nei soli States, nel brevissimo volgere di pochi anni, 15 milioni di disoccupati su una popolazione di poco più di 110 milioni di abitanti, stimolò fortemente questo media. La forte disoccupazione, infatti, unita al protezionismo, al proibizionismo, alle contraddizioni del New Deal di Roosevelt e alle tensioni internazionali tra le due Guerre mondiali, stimolò la nascita del fumetto supereoistico. I giovani uscivano da decenni di sforzi e privazioni e abbisognavano di entusiasmo, nuovi modelli ed eroi che possedessero spirito di rinascita e vigoria! È così che nel 1933, prima sulle strisce domenicali e poi su Action Comics, esordì Superman ad opera dei due immigrati ebrei Jerry Siegel e Joe Shuster. Per la cronaca, Superman, da buon “ebreo” è ispirato al mito di Mosè: come Mosè è “straniero in terra straniera” e possiede un nome [Kal-El] dall’assonanza divina. Uno dei suoi poteri, poi, ossia l’essere invulnerabile ai proiettili, va cercato nel fatto che il padre di Siegel era morto sparato. Il resto è storia recente, da Batman a Wonder Woman, dall’Uomo Ragno a Capitan America, il fumetto supereroistico americano ha sempre riflesso narrazioni, desideri, problematiche e morali del tempo (dalla Grande Depressione alla II Guerra Mondiale e alla minaccia nazista, dallo spettro dell’Apocalisse nucleare all’ombra lunga del nemico comunista, dal femminismo al conformismo degli Anni ’50).

Seconda parentesi: i fotoromanzi sono un’invenzione tutta nostrana; dopo essere apparsi a partire dal Secondo dopoguerra nella penisola su giornali come Grand Hotel e Sogno, si diffusero in Francia, Spagna, Grecia e nei Paesi ispano-americani. Il racconto è costituito da fotografie scattate su un set similcinematografico con attori veri, commentate da didascalie e battute di dialogo similfumetto. Chiaramente di basso livello contenutistico e rivolto principalmente a donne e ragazze, le eroine erano sempre povere e romantiche, ma coraggiose e decise, e le storie sempre a sfondo sentimentale.
Ultima parentesi: col tempo il fumetto si è diffuso in tutto il globo, abbracciando tutte le tematiche e i generi possibili (erotico compreso), e adattandosi alle peculiarità storico-culturali dei vari paesi e a tutte le fasce d’età, dal fumetto argentino come il capolavoro L’Eternauta, al fumetto franco-belga (es. I Puffi, Asterix e Lucky Luke), dal bonellide italiano, ai manga.
Oggi i romanzi non vengono più pubblicati a puntate né venduti nelle edicole o nei candy shop, ma direttamente in volume e in libreria. Echi delle riviste pulp contenitore e delle pubblicazioni a basso costo sopravvivono ancora oggi, si pensi ad Urania, Segretissimo e Il Giallo Mondadori [longevissime collane da edicola rispettivamente di letteratura fantascientifica, noir e giallo edite da Mondadori], alle riviste libro Providence Tales e Nova SF (che alternano nuove proposte a ristampe), o a personaggi come Perry Rhodan, unico eroe pulp seriale sopravvissuto fino ai nostri giorni che in Germania, quasi ininterrottamente dal 1961, conta oltre 2.700 avventure.
Il fumetto, dal canto suo, e fatta eccezione per le sporadiche graphic novel o le miniserie, negli ultimi decenni ha perso la sua valenza di denuncia sociale e citazioni colte per abbracciare una narrazione sempre più insulsa e politically correct, fatta di enormi splash pages e dialoghi banali. Ha poi abbandonato il suo essere media economico (i fumetti della Golden e della Silver Age erano, al pari delle pulp magazine, stampati su carta di scarsa qualità e destinati ad essere letti e cestinati) diventando veri e propri beni di lusso con tutte le loro edizioni cartonate, assolute e limitate.
L’intrattenimento e la narrazione seriale oggi sono appannaggio quasi esclusivo delle serie TV che tanto abbondano sulle piattaforme di streaming, eredi dei telefilm degli Anni ’80 e ’90 che, grazie ad una maggiore autorialità, budget di livello cinematografico e trama orizzontale, consentono un approfondimento psicologico dei personaggi e della trama, e un’immersività in un “mondo altro” che ad una pellicola cinematografica una tantum non è possibile.

martedì 24 agosto 2021

Siamo quel che siamo. E come lo siamo diventati

È facile dire "sei uno stronzo", "sei un orco", "hai agito male"...

le esperienze, i ricordi, le emozioni,
i sogni, le aspettative e poi la realtà,
sono un mosaico di immagini ed elementi
- a volte un fardello, altre un bagaglio -
che ci accompagnano e ci plasmano
[giorno dopo giorno]
rendendoci quello che siamo
e rivelando come ci siamo arrivati.

Anche se molti dettagli col tempo diventano sfocati,
siamo i posti in cui siamo stati,
siamo quelli che abbiamo incontrato,
siamo le persone che abbiamo amato,
siamo quelle che abbiamo perduto,
siamo ogni emozione che ci resterà.

mercoledì 26 maggio 2021

Psicoanalisi=Filosofia

La costosissima terapia della dianetica - che passa attraverso diversi corsi e livelli di auditing - consiste nell'indurre il paziente a ricordare episodi dal suo passato per risolvere ciò che si trova nella Mente Reattiva e raggiungere gradualmente lo stato di Clear [ossia l'essere umano libero dai suoi traumi e cosciente delle sue reali capacità]. Hubbard vedeva la terapia della dianetica come "un mezzo eccezionalmente efficace per risolvere le malattie psicosomatiche".
La psicoanalisi - dal canto suo - è la teoria dell'Io, dell'inconscio. Mira, con incontri più o meno frequenti di interazione dialogica, a curare disturbi psicopatologici di natura ed entità diversa. Essa occupa un luogo oggi non categorizzato, che sta tra la filosofia, le scienze della mente, la pratica di cura, l'intuizione psicologica. La psicanalisi non accetta ciò che la persona dice, ma lo interpreta, fornendo spiegazioni sulle origini delle sue preoccupazioni. Quando non sfocia nella manipolazione implicita e di conseguenza inconsapevole. È dunque una pseudoscienza così come lo è la dianetica. Nessuna delle due è dimostrabile secondo il metodo scientifico, ma entrambe, stando a chi le pratica, produrrebbero risultati.
Sicuramente le teorie e le tecniche della dianetica sono alla fine un agglomerato di sciocchezze con una buona dose di fantascienza grossolana, ma:
perché, nonostante l'assoluta mancanza di basi scientifiche e l'impossibilità di stabilire in modo oggettivo se la psicoanalisi funzioni oppure no, se ne accettano i princìpi anche nel mondo accademico, dando per scontato che sia capace di spiegare il comportamento umano e a curarne la sofferenza psichica?

venerdì 19 marzo 2021

Zack Snyder's Justice League. Commento

Finalmente [e lacrime napulitane a go go furono].
Dopo 1.227gg [pari a tre anni e quattro mesi ca] da quando hai visto quella porcheria spaccona di Joss Whedon,
un tam tam mediatico distribuito praticamente ovunque (web, Twitter, Vero, Facebook, convention, raccolte fondi, petizioni, etcetera etcetera) via hashtag #ReleaseTheSnyderCut, divenuto rapidamente virale,
il taglio di Zack Snyder della Justice League, ovvero il film come il regista l'aveva inteso (e qualcosa in più, per la verità), è finalmente tra noi!
Un film epico, maturo, autoriale. Un blockbuster che, nel bene e nel male, anche con i suoi difetti, piaccia o meno Snyder, ha una propria identità ben definita. Oltre ad un'aura mitologica. Eh, sì, perché in tre anni e passa, il carico di aspettative che questo montaggio si è portato appresso era enorme. Semplicemente enorme. Foto e clip rubate, dichiarazioni di attori, stuntmen, bozzettisti e fotografi, speculazioni e desideri dei fan... mentre - al contempo - produttori e Studios, blog, giornalisti e detrattori vari, hanno costantemente negato l'esistenza di una Director's cut.
Una pellicola che, con la durata di un kolossal biblico e la divisione in capitoli di un film di Tarantino, è più che una rivincita per Snyder. È intrattenimento grandioso, agile e immersivo. È un'esperienza che, unitamente a Man of Steel e Batman v Superman, da sola vale metà di tutto il Marvel Cinematic Universe. Quattro ore che trasudano passione, che puntano in alto e che rendono giustizia al pantheon DC Comics, dove il nichilista [l'Uomo geniale, l'über-Batman] ritrova la sua umanità, la saggia [l'immortale Donna Meraviglia, la Dea Purga] ritrova amore e fiducia, e lo scettico [l'Oltreuomo Superman, il buon Dio alieno "straniero in terra straniera"] ritrova la consapevolezza di quello che è e di quello che rappresenta. Quattro ore che mostrano tutte le potenzialità del genere: dramma, pathos, azione, giustizia, eroismo, epica, coerenza. Quattro ore spudoratamente e felicemente snyderiane, che meritano tutta la presunzione del regista.
Zack Snyder's Justice League è l'ultimo magniloquente tassello di una nuova trilogia post-moderna che - ne sei sicuro - diverrà ben presto classica (dopo Guerre Stellari e Il Signore degli Anelli) e della quale si parlerà ancora per molto, molto, molto tempo. Quantomeno per l'unicum che rappresenta [un film terminato ma rilasciato in sala in una forma alterata per mano di un regista dalla visione diametralmente opposta, richiesto a gran voce nella sua versione originale dai fan, rifinanziato e ripreso anni dopo con cast riunito, per essere rilasciato, nel suo taglio originale, su altri canali].

Il film, inutile dirlo, di base è aderente alla theatricul cut (dunque, Bruce Wayne, determinato a non rendere vano il sacrificio di Superman, unisce le forze con Diana Prince per reclutare una squadra di metaumani - Aquaman, Flash e Cyborg - con cui proteggere il pianeta da una minaccia aliena in avvicinamento di proporzioni catastrofiche), ma è stavolta completo, con un proprio senso, con più spazio per i singoli eroi. Un film migliore, insomma. La durata, il tono, la messa in scena, i dialoghi, le connessioni, il montaggio, la colonna sonora, il color grading: tutto è lontano da quell'erroraccio di tre anni fa. Quello che succede, in soldoni, l'abbiamo già visto. Come succede, invece, è qualcosa di differente. E cambia tutto.

Se Zack Snyder's Justice League sarà davvero l'ultima pellicola dello Snyderverse, solo gli incassi e Warner & HBO potranno dirlo, ma per Cavill, Affleck e Fisher sarà sicuramente un'uscita gloriosa e soddisfacente. Ricordi infatti che Superman verrà resettato da J.J. Abrams, Affleck ha appeso il cappuccio al chiodo a favore di Robert Pattinson, e Ray Fisher è stato rimosso da Flashpoint come ritorsione per le sue accuse rivolte a mamma Warner, che hanno provocato un'indagine interna per i comportamenti abusivi sul set di Whedon.


La tanto agognata Snyder Cut è una lettera d'amore ai fan e alla figlia Autumn, morta suicida, ma anche una dichiarazione d'orgoglio e d'intenti, un "ve lo avevo detto io che il mio progetto era magnifico!". Un film che se fosse arrivato in questa forma nelle sale cinematografiche nel 2017, avrebbe spostato la bilancia un pochino meno verso Kevin Feige, e noialtri avremmo avuto quel DCEU che meritavamo, col suo sequel tutto ambientato nella timeline knightmare.

In una botta di sincerità, ti senti di dire però che,
Zack Snyder's Justice League magari non è il cinefumetto che i fan stavano aspettando, "ma quello che meritano",
manca di quel simbolismo e di quei parallelismi visti in Batman v Superman e a te tanto cari, ci sono due o tre cose che, vista la theatricul cut e sentite le indiscrezioni, eri convinto di ritrovare anche qua e invece meh!
ma alla fine le lamentele, tue comprese, sono solo stronzate da fanboy,
e il film rimane un enorme "SÌ", tant'è che appena finito ti ha lasciato l'amaro in bocca perché ne volevi ancora. D'altronde è stato concepito come Parte Prima e rimanda chiaramente ad un Justice League Part II e al The Batman di e con Affleck [che forse non vedremo mai, sigh!],
oltre alla piacevole e sempre più rara sensazione di aver visto un pezzo d'arte cinematografica che dimostra come "la visione del regista è sacra" e spesso migliore di quella voluta da produttori e Studios.